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Alessia Araneo (umile consigliera comunale di opposizione da due anni, come si definisce) è un Re Mida alla rovescia della politica: tutto ciò che tocca diventa fango, lotta e divisioni. Non è un fatto episodico, ma un dato storico: la sua candidatura al Comune di Melfi, mandando fuori metà dei 5 stelle, tra cui gli storici che facevano riferimento ad Angela Bisogno, per avere spazio; la gestione del Movimento da dirigente (coordinatrice regionale) rompendo con un consigliere regionale eletto, Gino Giorgetti e regalandolo così al centrodestra; la vicenda delle candidature regionali, spaccando la sua formazione (con praticamente tutti gli eletti nelle istituzioni locali che prendono le distanze non sentendosi più rappresentati) e poi la coalizione. Magari (sicuramente non ci avrà pensato) potrebbe succedere lo stesso che è accaduto alle elezioni comunali di Melfi, quando dopo aver mandato fuori tutti i 5 stelle e aver chiuso il dialogo col Pd e col centrosinistra, le è toccato (sicuramente suo malgrado) candidarsi a sindaco e con un movimento ridotto al 7% conquistare il suo seggio da “consigliera comunale di opposizione”.
Storie diverse ma con un’unica arma del delitto: “il metodo”. Quello indicato per fare sintesi a Melfi con l’altra parte dei 5 stelle, ridotto a un io mi candido e voi andate fuori; quello utilizzato per dirimere i ricorsi elettorali alla Regione (io decido chi può fare ricorso e chi no); quello utilizzato nella dialettica interna al movimento per le regionali (non c’è una linea comune, ma io sono libera di portare avanti la mia e voi no) e quella di coalizione (stiamo ragionando, ma io metto delle regole che portano dove dico io – anche nel dire chi dovrebbe andare nella direzione nazionale del Pd e chi no – e voi dovete accettarle). Il tutto con un’altra costante: l’arbitro. Quell’Arnaldo Lomuti che nel caso di Melfi corse da Conte a far l’elenco di buoni e cattivi, nel caso Giorgetti si girò dall’altro lato continuando a far andare avanti le faide, nelle attuali diatribe interne prima si mostra terzo e poi getta la maschera e si allinea alla posizione di quella che – da lui nominata – dovrebbe essere una sua sottoposta e nelle relazioni con gli alleati dovrebbe spingere per il rinnovamento e invece trova sponde in quei personaggi che i 5 stelle combattevano e oggi trattano col centrodestra, mentre la sua Araneo dispensa patenti di novità e moralità tra gli altri.
Ma c’è un conto che la nostra terminator non ha fatto: anche se nel Movimento tutti dovessero abboccare al suo amo (e francamente a Roma qualcuno con pelo sullo stomaco pure ci sarà) le elezioni regionali non sono come le comunali. Il (la) candidato presidente che prendesse il 7% e fosse terzo o quarto resterebbe a casa. E, nel caso, almeno questo per la Basilicata sarebbe un premio di consolazione.