I mille presidenti del Csx e i sogni che diventano incubi coi sondaggi che incoronano Chiorazzo
“Che poi il candidato presidente potresti benissimo essere tu….”. Se il centrosinistra lucano alle prossime elezioni regionali conquistasse tanti seggi da consigliere regionale per quante candidature a presidente stanno prospettando Lomuti, Margiotta, Valvano, Tramutoli e Rondinone potrebbe governare non solo l’ente lucano ma almeno tutte le Regioni a salire fino al Lazio.
Un elenco non esaustivo conta (a volte addirittura all’insaputa degli interessati) Araneo, Giordano, Iannuzzi, Bochicchio, Paternò, Bennardi, Marrese, Speranza, Somma, Cifarelli, Lacorazza, Valvano, Perretti, una serie imprecisata di docenti universitari di ogni disciplina, mezzo distretto di corte d’appello, un terzo degli ospedali (perché coi farmacisti abbiamo già dato), una pattuglia di sindaci e segretari di partito (anche non necessariamente del centrosinistra), una spolverata di ordini professionali e funzionari pubblici per tacere delle speranze recondite ma mai sopite di quanti – dicendosi fuori dalla partita – fanno nomi a raffica sperando che alla fine si arrivi (o si torni) a loro per…mancanza di uomini dabbene.
Ognuno fa il suo sogno, ma la sveglia arriva dai numeri. Quello di un sondaggio Ipsos che rivela l’acqua calda: l’unico candidato che può guidare la coalizione alla vittoria (con quattro punti di media oltre il centrodestra) è quello che è in campo oramai da qualche mese, Angelo Chiorazzo, che è nato dai civici “sguinzagliati” dal laicato cattolico, che aggrega pezzi di società civile che diversamente ai seggi non ci andrebbero proprio e che senza avere la stessa notorietà di Bardi già lo batte, figuriamoci dopo una campagna elettorale.
Un sondaggio che mette nero su bianco ciò che già sapevano tutti. Perchè se a Roma, al Nazareno, tengono ben riservato (esce solo da un intervista di Speranza al Fatto quotidiano) un altro sondaggio che accredita la lista civica di Chiorazzo di un 16 per cento di consensi, e il centrodestra è stimato qualcosa sopra il 42, è chiaro che spazio per soluzione a prescindere dal cooperatore cattolico non ce ne sono.
Ma allora perché tutto questo discutere? E qui gli elettori devon capire che le partite che si giocano sono diverse, al motto (ci scusi l’…Angelico) di un “Meglio re all’inferno che servo in paradiso”. A chi vive di politica, in fondo, è proprio quel risultato forte dei laici che fa paura, al punto da preferire di essere leader di una sconfitta che co-protagonista di una vittoria. Una prospettiva che allarma maggiorenti del Pd, non disposta ad andare ai giardinetti a spendere i ricchi vitalizi già maturati in gelati ai nipoti e semini per i piccioni, magari per lasciar spazio alle nuove leve; che spaventa il vertice locale dei 5 stelle, anche perché il bacino civico in cui pescano i “Chiorazzo’s boys” era in parte il loro bacino elettorale. Che limita fino all’esclusione il potere di interdizione di forze minori, dal Psi ad Azione e Italia Viva, che sommate sarebbero una frazione del nuovo fronte civico. E, infine, che svela il bluff dell’atomizzazione della sinistra, che si presenta ai tavoli con la forza di più formazioni (Sinistra Italiana, Basilicata Possibile e galassia comunista) ma alla fine dei conti fa riferimento sempre agli stessi nomi noti alcuni dei quali, poi, firmano anche appelli come civici.
Ma vuoi vedere, insomma, che il prezioso vestito da re che ciascuna di queste forze vanta non esiste? Vuoi vedere che la tanto cara Giorgia, il vento di destra che scuote l’Europa, gli egoismi territoriali che animano il Nord e la sudditanza psicologica che soggioga il Sud sono, alla fine, degli ottimi alibi per provare dire agli elettori uno “stringetevi intorno all’usato sicuro, perdente ma non fascista” per paura dell’irrilevanza?
A ben pensarci già pare di vederli Valerio Tramutoli e Alessia Araneo, maledire di non aver preso per tempo la residenza in un nuraghe sardo per poter votare Truzzu ed evitare che la vittoria di Todde potesse suggerire che a maggior ragione è possibile vincere anche in Basilicata.
Ma mentre Bardi può fregarsi le mani, certo di essere riuscito a spuntare la ricandidatura anche contando sulla divizione degli oppositori, qualcosa potrebbe sorprendere tutti. Perché i dati dei sondaggi di cui si parla oggi risalirebbero a prima delle scelte del centrodestra (perché fargli cambiare cavallo quando sono pronti a schierare un ronzino, il cui operato è giudicato insufficiente o pessimo dal 55 per cento dei lucani con un 5 per ecnto che non si esprime?) e non rivelerebbero nemmeno a quanti e quali pezzi del centrosinistra si potrebbe rinunciare continuando a mantenere un vantaggio. In più le proiezioni (che accompagnano i sondaggi ma non le compongono) mostrerebbero anche come se Bardi ha esaurito la sua forza di penetrazione essendo conosciuto dai lucani e disapprovato dalla maggioranza di questi, Chiorazzo avrebbe ancora ampi margini di crescita tra quanti (4 lucani su 10) hanno risposto di essere incerti se andare a votare o meno. E va aggiunto che qualcuno di questi sarebbe allontanato dalle urne proprio dalla presenza in coalizione di qualche “arnese” che minaccia di andare da solo.
Da qui anche i tentativi di campagna acquisti che i proconsoli di Bardi hanno lanciato su pezzi/pezzetti e frammenti di apparato del centrosinistra, dimenticando la regola aurea per cui in politica i voti non si sommano.
Non si sommano e non si sottraggono. Quanti hanno risposto ai sondaggi hanno dato il proprio assenso a un centrosinistra con Chiorazzo candidato presidente. E se qualcuno si sfilasse, in un sistema senza voto disgiunto, non è detto che gli elettori seguirebbero i simboli di partito, speci se condannati all’irrilevanza.
E qui i sogni di tanti diventano incubi. L’incubo di essere dandidato presidente non eletto nemmeno consigliere perché terzo. L’incubo di vedere il proprio consenso ridotto rispetto ai precedenti e annullato rispetto a quello che si millanta ai tavoli. Il terrore di dover dare conto ai compagni di cordata e alle segreterie nazonali di strappi che hanno ridotto a percentuali da prefisso telefonico.
C’è chi dice no, insomma. Ma lo fa soffiando sul fuoco sperando che il “no” finale lo dica Roma, pronti a dire, in caso di insuccesso, un rituale “hanno stati loro”. Altro che opposizione all’autonomia differenziata: siamo alla sublimazione della dipendenza omogeneizzata.
Mentre la Basilicata, quella reale, va avanti e… passa senza curarsi di lor. Nei sondaggi i lucani dicono con numeri significativi alle varie forze: “Tutti insieme, testa bassa e pedalare”. L’angelico Chiorazzo e i suoi lo fanno oramai da tempo. E i risultati si vedono.
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