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Nel corso della manifestazione – dedicata al noto reporter lucano scomparso nel 1996 a Lavello, suo paese d’origine – sarà premiato il giornalista Lucio Caracciolo, fondatore e direttore della rivista italiana di geopolitica Limes e della scuola di Limes

Domenica 6 aprile 2025 alle ore 17,nell’Aula Magna “A. Jacoviello” dell’Istituto di istruzione superiore “Solimene” di Lavello si terrà l’ottava edizione del Premio giornalistico nazionale intitolato alla memoria di Alberto Jacoviello, noto giornalista lucano nato nel 1920 e scomparso nel 1996, nel suo paese natio di Lavello, in provincia di Potenza. La manifestazione “Premio giornalistico nazionale ‘Alberto Jacoviello” è organizzata di concerto fra l’Istituto di Istruzione Superiore ‘Solimene’, l’amministrazione comunale e la famiglia Iacoviello, con il contributo della Bcc di Gaudiano di Lavello. Alberto Jacoviello è stato, per riconoscimento generale, fra i più grandi giornalisti del secolo scorso, corrispondente estero di punta, sempre cronista imparziale dei fatti. Un esempio per tutti, le sue corrispondenze da Budapest del ’56, anno della Rivoluzione ungherese. Descrisse esattamente quello che vedeva, una rivolta di popolo, di studenti e operai. Il prestigioso premio, quest’anno, sarà assegnato al giornalista Lucio Caracciolo, fondatore e direttore della rivista italiana di geopolitica Limes e della scuola Limes.

Il giornalista Alberto Jacoviello

Riceviamo e con piacere pubblichiamo un articolo di Vitantonio Iacoviello, nipote del grande giornalista lucano. Buona lettura.

Alberto Jacoviello, i suoi libri

Il 6 aprile a Lavello si terrà l’ottava edizione del Premio Giornalistico Nazionale Alberto Jacoviello, che verrà assegnato a Lucio Caracciolo, fondatore e direttore del mensile di geopolitica Limes e della omonima Scuola. Per l’occasione ho pensato di mettere insieme i libri di Jacoviello, alcuni dei quali non facilmente reperibili, per donarli alla biblioteca dell’Istituto di Istruzione Superiore “G. Solimene” di Lavello. Mi raccontava Alberto, così voleva che lo chiamassi, che in Cina a chi si odiava si augurava di vivere “in tempi interessanti”, tempi di guerre e sofferenze per milioni di persone. Lui per decenni, come inviato speciale per L’Unità, spesso è stato catapultato in luoghi dove si vivevano tempi interessanti descrivendoli nei suoi articoli e nei suoi libri. Da corrispondente da Mosca per Repubblica, non più giovanissimo, ha smesso di frequentare zone di guerra per descrivere “I primi anni dell’era di Gorbaciov”, raccogliendo i suoi articoli, profondi e nel contempo di gradevole lettura, in un libro pubblicato nel 1987, “Lettere dalla Nuova Russia”. Scrive Alberto nella prefazione “Quando sono partito per Mosca avevo con me un breviario: Le Lettere dalla Russia del marchese de Custine, un libro famoso del 1843 e che rende conto d’un viaggio compiuto nel 1839. George Kennan, uno dei grandi della diplomazia della nostra epoca, lo ha definito come il migliore di tutti i libri sulla Russia di Stalin e ancora buono su quella di Breznev. Io sono arrivato nell’URSS di Gorbaciov, nell’URSS della glasnost e della perestroika. Ma quante cose ho trovato che de Custine aveva annotato e che erano rimaste tali e quali. Spesso ho avuto la sensazione che nulla davvero fosse cambiato dalla fine dello zarismo. E al tempo stesso che tante cose stessero cambiando. Tra le prime e tra le più immediatamente avvertibili, lo sguardo indagatore dei poliziotti all’aeroporto, il controllo lungo, minuzioso, il sospetto per i libri”. Ne parleremo con Caracciolo. In che cosa è cambiata e in che cosa è la stessa, la Russia di oggi? Ma godetevi la lettura degli articoli di Alberto in questo libro, li troverete agili, frutto di una grande penna, profondi nelle analisi e spesso persino divertenti. Come il caso di Radio Erevan, capitale armena “alla cui inesistente rubrica si attribuiscono, per gioco, tutte le storielle politiche che in Urss vengono inventate”. E che, aggiungo, non era “igienico” raccontare in prima persona. Alberto, destinato a lavorare la terra come i suoi fratelli, a 15-16 anni perdette il braccio destro in un incidente e la famiglia lo fece studiare a Napoli, dove cominciò a lavorare per La Voce di Napoli” per poi essere chiamato da Togliatti a scrivere per L’Unità. A 32 anni, nel 1952 era già a correre fra le pallottole inglesi insieme con gli egiziani lungo le sponde del canale di Suez. “Capi partigiani, ministri e deputati del più grande partito politico del Medio Oriente, sacerdoti e professori di El Azar-la millenaria università musulmana-contadini e scrittori, parlano in queste pagine un linguaggio comune che dà al lettore una visione chiara della portata e del significato della lotta che i popoli del Vicino Oriente e Medio Oriente conducono contro la dominazione imperialistica” si legge nella seconda pagina di copertina del suo libro Appuntamento a Suez. Dei nove anni da inviato speciale in URSS, Cina, Gran Bretagna, Cuba, Libano, Congo, India, Jugoslavia Egitto Libia Giappone Germania Birmania, Jacoviello scrive nel 1961 “La Coesistenza Difficile”. “Gli avvenimenti e le decisioni dei prossimi dieci mesi potranno forse determinare il destino dell’uomo per i prossimi diecimila anni. Noi saremo ricordati o come la generazione che ha trasformato questo pianeta in un rogo fiammeggiante o come la generazione che ha realizzato il suo voto di salvare le generazioni future dal flagello della terra”. Con queste parole di J.F. Kennedy, pronunciate alle Nazioni unite il 25 settembre del 1961 Alberto apre la sua prefazione. Nel 1972 e nel 1973 Alberto, a seguito di suoi viaggi, pubblica due libri sulla Cina (Capire la Cina e In Cina due anni dopo), libri che tante polemiche suscitarono nel PCI, filorusso. Polemiche che Jacoviello aveva subite pesantemente nel novembre del 1956 quando da spirito libero quale era, scrisse la verità sulla rivolta ungherese, con L’Unità che, su pressione del PCI, tagliò alcuni suoi articoli e lo “processò”, facendogli maturare la decisione di dimettersi da capo dei servizi esteri. La storia giornalistica di Alberto proseguì poi sempre più brillantemente guadagnandogli la stima e l’affetto di colleghi di opposto “campo”, fra i quali Indro Montanelli. Chiederemo anche a Caracciolo come e se è cambiata non solo la Russia attuale, ma il rapporto fra i grandi e l’approccio che questi hanno nei confronti del “mondo altro”. Magari anche cambiando soggetti e circostanze. A solo titolo di esempio, l’Italia che nel 1963 pretese la rimozione delle 30 testate nucleari americane fra Puglia e Basilicata, ciascuna delle quali con potenza pari a 100 volte quella di Hiroshima, come la pensa oggi sugli “ombrelli nucleari”? E la Francia e l’Inghilterra che avevano e che hanno il loro “ombrello”, oggi che posizione hanno? Forse la stessa del passato. E, a proposito di approcci di oggi fra “grandi” e “piccoli” e di pretese odierne di alcuni grandi di voler depredare qualche piccolo, che ne era, che ne è, degli interessi, dei veri scopi di chi “aiuta” i piccoli? Per esempio, nella rivolta d’Algeria e nell’atteggiamento francese di non voler mollare quei territori, per caso ci sono anche le molto appetibili, già allora, terre rare? Quelle terre rare che oggi, in altri siti a noi vicini, sono merce di ricatti? Guerre, fatti, molto lontani, che a noi europei, a noi italiani non riguardano? A noi che godiamo di 80 anni di pace? E se il mondo fosse cambiato, come lo è, cari giovani e cari tutti, questo cambiamento non ci dovrebbe spingere a capire, a cogliere radici, a prendere coscienza e a svegliarsi agendo? Anche questo è il senso di donare questi libri, ricchi di radici, alla biblioteca. I fatti hanno sempre radici, che non sono mai troppo lontane. Parliamone il 6 aprile con Lucio Caracciolo.

Vitantonio Iacoviello