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Secondo gli ultimi dati dell’ISTAT relativi all’anno educativo 2021-2022, elaborati dalla CGIL, in Basilicata sono 2.433 i posti disponibili negli asili nido a fronte di 10.469 bambini da 0 a 2 anni, il 22 ,9%, mentre i posti disponibili nei servizi integrativi per la prima infanzia (asili nido, micro nidi o sezioni primavera, spazi gioco, centri bambini genitori, servizi educativi in contesto domiciliare), pubblici o privati, sono solo 83, lo 0,8%, per un totale di servizi educativi per i bambini da 0 a 2 anni pari al 23,7%, tra i più bassi in Italia, anche se leggermente meglio tra le regioni del sud. Il rapporto tra posti disponibili e bambini/e con un’età 0-2 anni, che mediamente in Italia è del 28,0%, è assolutamente insufficiente rispetto al potenziale bacino di utenza e ancora al di sotto del 33% che l’Unione Europea si era data come obiettivo da raggiungere entro il 2010 e molto lontana dal nuovo obiettivo europeo del 45% da raggiungere entro il 2030.
Lo sostiene in una nota la segretaria generale della FP Cgil, Giuliana Scarano
La spesa complessiva pubblica (sia per le strutture comunali che per le rette e i contributi pagati dai comuni per gli utenti di servizi privati) e quella degli utenti è di 4.369.647 euro (1,5 miliardi di euro quella nazionale) di cui 3.498 a carico dei Comuni e 1.131 a carico delle famiglie, per una spesa pagata dalle famiglie pari al 24,4%, la più alta in Italia dopo il Molise. Pessimo anche il dato sulla spesa media dei Comuni lucani per gli asili nido a bambino: 315 euro, tra le più basse in Italia, preceduta da Molise, Campania e Calabria.
Evidenti i divari territoriali, con il Mezzogiorno ancora una volta fortemente penalizzato.
Gli asili si configurano come diritti dei bambini e delle bambine e per questo è fondamentale superare i divari nell’utilizzo e nell’accessibilità in base alle condizioni culturali, sociali ed economiche delle famiglie. Peraltro, le famiglie in cui lavora un solo genitore hanno maggiori difficoltà ad accedere ai nidi pubblici per i criteri d’accesso applicati dai comuni e a quelli privati per l’onerosità delle rette, mentre le famiglie con due redditi hanno maggiori probabilità di iscrivere i bambini al nido. Inoltre, oltre a garantire i diritti delle bambine e dei bambini, il potenziamento dell’offerta di nidi andrebbe a creare opportunità di lavoro con profili professionali di qualità. Occorre poi rilanciare la centralità della scuola dell’infanzia come segmento fondamentale per il processo di maturazione del bambino da un punto di vista non solo cognitivo ma anche sociale ed emotivo. Se consideriamo, quindi, la scuola dell’infanzia uno dei settori trainanti del nostro sistema scolastico, non possiamo sottovalutare le esigenze di natura strutturale che occorre affrontare per la sua espansione e generalizzazione qualitativa. Investire in educazione di qualità per la prima infanzia genera non solo benefici sociali ma anche economici come conferma il Premio Nobel per l’Economia James Heckman secondo il quale, con l’investimento sulla qualità educativa per l’infanzia, “si ottengono benefici economici molto elevati, benefici sociali molto elevati e adulti più autonomi e capaci di impegnarsi nella vita in modo attivo. Si tratta di vantaggi enormi, che spesso vengono ignorati”.
Nel PNRR il tema dell’infanzia è stato posto come prioritario con la destinazione di 4,6 miliardi di euro al Piano per potenziare l’offerta in Italia di asili nido, scuole dell’infanzia e servizi educativi: un’occasione preziosa per rafforzare la rete di servizi, per ridurre i costi a carico delle famiglie e garantire a bambine e bambini un’offerta di qualità diffusa sul territorio. Tuttavia nel documento del Governo con le Proposte di rimodulazione degli interventi del PNRR, l’incertezza sul raggiungimento degli obiettivi entro i termini appariva chiara sin da allora e adesso, purtroppo, trova conferma nella decisione della Commissione Europea di modifica del PNRR che si sostanzia nel forte ridimensionamento dell’obiettivo che da 264 mila nuovi posti in asili nido, scuola dell’infanzia e servizi di educazione e cura per la prima infanzia passa a 150 mila posti con un taglio molto consistente dell’offerta da attivare. Inoltre, anche la tempistica per il completamento degli investimenti e per l’attivazione dei nuovi posti, inizialmente prevista per la fine del 2025, viene prorogata di ulteriori 6 mesi.
Una sconfitta di enormi proporzioni per il nostro Paese, che risulta così incapace di dotarsi di una infrastrutturazione sociale, strategica, volta a raggiungere obiettivi vitali per il futuro del nostro (aumento della natalità, dell’ occupazione, lotta alle diseguaglianze e alla povertà educativa e materiale) e soprattutto a quello primario e fondamentale: garantire i diritti di tutti i bambini e le bambine ad un’educazione di qualità sin dalla prima infanzia in un sistema educativo 0-6 pubblico e universale. Occorre, al contrario, un forte rilancio di questo sistema integrato di educazione e di istruzione 0-6 all’interno di un progetto complessivo: una scuola fortemente integrata nel primo ciclo di istruzione, con stringenti elementi di continuità tra i vari ordini, nella cornice costituzionale che affida all’istruzione uno dei compiti primari dello Stato e cioè educare i propri giovani alle sfide del futuro. Ora il Governo tenta di rassicurare annunciando l’adozione di un primo Piano asili da circa 530 milioni, finanziato con risorse già previste nel DL “Caivano”, e poi un secondo Piano asili da circa 900 milioni di risorse nazionali rimodulate da altri piani di edilizia scolastica. Annunci e promesse che però si scontrano con la realtà dei fatti: l’incapacità di garantire percorsi educativi e di cura sin dalla prima infanzia a tutti i bambini e le bambine, superando i ritardi e le profonde diseguaglianze territoriali, aggravati dagli ulteriori e pesanti tagli operati dal Governo con il DDL Bilancio 2024 a danno dei Comuni.
Occorre rimarcare che, solo per raggiungere l’obiettivo del 33%, vanno attivati almeno 70 mila posti in più rispetto ai 327 mila attuali e per garantirne la gestione diretta da parte dei comuni, occorrono 700 milioni di euro in più all’anno di spesa corrente e almeno 15 mila educatrici/tori in più. Per arrivare all’obiettivo del 45% (Barcellona 2030), devono essere attivati 200 mila posti in più rispetto a quelli attuali, per i quali occorrono 2 miliardi di euro in più all’anno per la gestione e almeno 45 mila educatrici/tori.
Dunque, non solo è necessario garantire la realizzazione di tutti gli investimenti previsti dal PNRR ma, oltre alle strutture, vanno garantite ai Comuni le risorse necessarie alla gestione corrente degli asili nido, per valorizzare il personale e promuovere la qualità dell’offerta educativa. Al Governo chiediamo meno annunci, meno propaganda, di farla finita con la retorica della natalità e di impegnarsi concretamente per garantire il raggiungimento degli obiettivi europei a garanzia di un’infrastruttura educativa e sociale strategica affinché i diritti di tutti i bambini e le bambine partecipino ad a un percorso educativo e di socialità di qualità sin dalla primissima infanzia. Occorrono politiche strutturali e di prospettiva nazionali e regionali che mettano al centro i bambini e le bambine, i loro diritti, i loro bisogni che devono trovare coerenza e realizzazione a partire dalla legge di Bilancio.